Repetita iuvant?

 

Ho un ricordo tremendo delle continue richieste di mia madre; – mi confida Cristiana – lei voleva che io facessi una cosa… ebbene, la ripeteva 100 volte! Ed io… più insisteva, più cercavo di non farla. Diventata mamma ero determinata a non ripetere lo stesso comportamento, ma….

Ma ora si accorge, che tende a fare esattamente come sua madre e questo non lo sopporta!

 

Come possiamo aiutarla? Cristiana voleva insegnare a sua figlia a comportarsi bene senza bisogno di continui richiami, ma…

Ma la figlia non è intenzionata a collaborare con il piano della mamma…

 

Non solo la mamma è costretta a insistere per comportamenti adeguati; ma anche la figlia – quando vuole una cosa – la chiede ripetutamente, incessantemente…

E la mamma si trova a dire: Te l’ho detto centinaia di volte! Perché non mi ascolti?

Che è esattamente la frase che tanto odiava quando era piccola e questo la fa veramente inorridire.

 

Pedagogia positiva, che si può fare?

Cominciamo con ciò che non si deve fare:

– parlare fino a perdere la voce, dare spiegazioni infinite, brontolare, urlare, lamentarci, predicare, ecc.;

– pensare che nostro figlio non raccoglierà mai i giocattoli, non farà i compiti, non rifletterà due volte prima di offendere qualcuno, non si terrà alla larga dai fornelli e via dicendo se non glielo ricorderemo continuamente;

– dire che (soprattutto per quanto riguarda i messaggi relativi, alla sincerità, alla morale, alle buone maniere, ecc.) non si ottiene nulla senza costanti e continui richiami;

– fare richieste vaghe, imprecise, carenti dal punto di vista della certezza che quello che domandiamo è ragionevole e che pertanto seguirà l’adempimento;

– usare, nelle nostre richieste un “tono” urtante, offensivo, umiliante, lagnante, ove manca l’autorevolezza e la gentilezza con cui ci si rivolgerebbe a un altro bambino che non fosse nostro figlio;

 

Per esempio?

   Pulisciti la bocca prima di bere, il tuo bicchiere la schifo!  Se il bimbo seduto vicino a noi fosse il figlio di un nostro amico probabilmente gli porgeremmo decisamente (= con autorevolezza) il tovagliolo con un cortese (= con gentilezza) invito a usarlo.

Un altro motivo per cui non ci ascoltano è dato dal fatto che diamo degli ordini e noi stessi noi stessi li eludiamo: Basta giocare, ora andiamo; poi continuiamo la nostra conversazione con l’amica per mezz’ora; dopo di che ripetiamo: Andiamo! Ma non si va ancora perché c’è ancora una cosa da dire…

Proviamo invece dopo aver detto una volta sola: Ora si va a casa, a partire insieme subito…

 

Ma allora i proverbi della serie “repetita iuvant” di classica memoria o “bisogna dirglielo, ridirglielo; ma quel che conta e tenerglielo detto”, ecc.  non servono?

Non servono che a stimolare la dimenticanza. È importante agire più che ripetere. Stabilito che si va al parco a giocare fino alle 11,30 e poi si torna, perché alle 12 la mamma è pronta con il pranzo… si dice che è ora di andare e si va.

 

Mi sembra una scelta autoritaria… del tipo “Io sono più grande e tu fai quello che dico”…

È una scelta molto democratica, invece, e conseguente a quanto pattuito: l’accordo era che si andava al parco fino alle 11.30 e come tale va rispettato.

Certo l’antiautoritarismo ha profondamente inciso, nella storia pedagogica ed è ancora presente nelle nostre idee; tendiamo a non imporci perché idealizziamo il nostro ruolo di genitori e rifiutiamo di mostrarci in una luce oppressiva. Ma così non è! Due genitori chiari nei loro comportamenti, che dicono “sì” quando è sì e “no” quando è no, sono la migliore fortuna per un figlio. Si tratta soltanto di evitare gli apprendimenti negativi e ciò che li rinforza, la “resistenza” all’osservanza delle regole, non dimentichiamolo, è un apprendimento che attecchisce sulla nostra vulnerabilità: accade una volta che cediamo… e lui impara che si può anche fare diversamente o non fare affatto.

Ma anche l’affettività gioca un ruolo importante nel farci cedere. Temiamo di essere meno amati se ci manteniamo fermi nei comportamenti stabiliti; soprattutto se il pargoletto ci dice: Non ti voglio più bene, o se l’adolescente ci grida: Ti odio; ma – premesso che l’affetto di un figlio per il genitore è smisurato – posso assicurare che non è la fermezza che lo allontana affettivamente da noi, ma semmai le nostre debolezze, mancanze, ritardi, bugie, ecc.

Quindi per finire: ubbidienza né con le buone né con le cattive (come abbiamo già detto nel capitolo a ciò dedicato), ma secondo le regole di famiglia, senza ripetere sempre le stesse cose.