Gli atteggiamenti educativi

  

Come possiamo definire l’atteggiamento educativo?

L’atteggiamento è un comportamento costante, tipico di una persona od anche un suo modo d’essere in circostanze particolari. Ognuno di noi si “esprime” in un certo modo, secondo ciò lo caratterizza; ma non solo: l’atteggiamento tipico è enfatizzato in particolari situazioni: il prete quando predica, la maestra quando spiega, il vigile quando dirige il traffico ed anche la mamma quando educa, ecc. assumono un modo di agire particolare che è stabile e tende a ripetersi tutte le volte che entrano in tale ruolo. Anche l’atteggiamento educativo ha queste caratteristiche: ognuno di noi si rivolge ai figli od agli allievi più o meno sempre allo stesso modo, e ciò caratterizza anche la “comunicazione” tra genitori e figli. Trasmettiamo gioia di vivere, entusiasmo, volontà di affrontare la vita e di accettare anche le contrarietà (magari per trasformarle in stimolo a fare meglio), o comunichiamo stanchezza, noia, disillusione, apatia? Forse vale la pena di pensarci magari “facendo” della buona pedagogia positiva che – come sempre abbiamo detto – ricerca brevissimamente quel che non va e fissa stabilmente quel che va, quel che può dare sicurezza, autostima e fiducia.

 

Gli atteggiamenti negativi, quali sono?

Gli atteggiamenti negativi sono molti perciò accennerò i più “abusati”: c’è la modalità “ordini sempre” che è applicata dal genitore che comanda e basta; c’è lo stile “io ho ragione” dunque non discutere; lo stile “urlo sempre” o “brontolo sempre” che ha molti seguaci; c’è ancora il “fai quel che ti pare, ormai…” e ce ne sono tanti altri, tutti caratterizzati da mancanza di serenità ed equilibrio.

 

Parliamo ora di atteggiamenti positivi?

Il primo atteggiamento positivo: seminare.

Paragonando l’arte dell’educare a quella dell’agricoltore, mi viene spontaneo dire che la prima cosa da fare (sempre) è seminare, seminare, seminare. Costantemente seminare, quotidianamente seminare. Seminare – prima di tutto – modelli positivi, comportamenti coerenti, amore alla vita; di modo che, guardandoci, nostro figlio possa (nella peggiore delle ipotesi) dire: Non sono d’accordo, ma quanto meno ci credono. Ma non è vietato seminare parole sagge, dettate dall’esperienza di babbo e mamma; anche quando “predico al vento”; anche quando “se glielo dico peggioro la situazione e mi risponde male”. Ma chi l’ha detto che le parole giuste, buone oneste di un padre o di una madre, pur sparse sul terreno freddo dell’autunno (destinato a raggelare durante l’inverno) non daranno in primavera un raccolto assolutamente impensato?

 

Passiamo al secondo?

Il secondo atteggiamento positivo: seminare insieme.

Qualsivoglia mamma ed ogni papà, tutti e due sono disposti a giurare di voler educare bene loro figlio (anzi di saperlo educare meglio del rispettivo coniuge). Ognuno pensa: Se lui/lei facesse come dico io, allora le cose andrebbero bene; se lasciasse fare a me, queste cose non capiterebbero; ma così pensando lo educano insieme? Sicuramente no! Non ci hanno mai provato ad agire insieme, non ne hanno mai parlato, perché è terribilmente difficile. Affrontare la “fatica” di educarlo insieme costa, e richiede la volontà di affrontare almeno tre ardue scalate.

La prima: davanti al figlio il coniuge ha sempre ragione. Mi rendo conto che la frase è forte; che può ricordare un ventennio buio della nostra storia; ma altrettanto va detto con chiarezza che se un genitore fa una cosa e l’altro agisce all’opposto si producono disastri. La seconda: parliamone dopo da soli. È estremamente importante che marito e moglie ne parlino in privato, tenendo presente che non sarà un discorso facile. Perché il bene di cui discutiamo è prezioso, è un pezzo unico, non è un pezzo raro!  Ma bisogna farlo per arrivare alla conclusione già citata (cap. XXX) per i rapporti con la scuola: Pertanto, noi faremo così…. La terza: a forza di provarci, alla fine ce la facciamo ad andare d’accordo sull’educazione dei figli. È la terza vetta da salire, ma è possibile conquistarla! Anzi, per chi ha provato a raggiungere le prime due cime è possibile scoprire con profonda soddisfazione (e con ottimi risultati educativi) che è addirittura la più facile da avvicinare; basta sapere dov’è (e per saperlo bisogna superare le prime due tappe), poi si raggiunge celermente.

 

Ma siamo poi sicuri di seminare al momento giusto?

Il terzo atteggiamento, appunto, è seminare al momento giusto. È veramente un problema difficile! Tante e tante volte ci siamo detti: Ma farò bene a dirglielo adesso, sarà pronto, maturo? Sarò io capace ora di agire con il tat­to e la prudenza che il caso richiede?

Premettendo che è sempre meglio anticipare che rimandare è opportuno segnalare cinque punti di appoggio che indubbiamente possono servirci.

– L’istinto. Quell’impulso naturale che ci spinge a fare o non fare una cosa non va represso. Ha sicuramente in sé una parte positiva che può orientarci nella futura scelta che sarà vagliata dalla ragione. Non si può negare che esista l’istinto mater­no e l’istinto paterno che è bene non trascurare, anche se da solo non basta.

– Il buon senso. Questo è condizione assolutamente necessaria per fare educazione. Senza la semplice “saggezza” non si procede sulla strada giusta. I migliori proget­ti, quelli “scientificamente fondati” sono destinati ad un ben misero fallimento se non sono attuati con buon senso, rapportato alla situazione in cui ci troviamo ad agire. Il buon senso è dunque condizione necessaria ma, ancora, non sufficiente… ci vuole dell’altro.

– L’intelligenza.  Cioè la capacità di capire le cose, di entrare nei problemi per co­noscerli e per cercarne la soluzione. Questa intelligenza non si acquisisce una vol­ta per tutte, va coltivata, cresciuta, rafforzata; istruendosi, partecipando agli in­contri proposti, riflettendo, pensando ai problemi educativi, praticando insomma la pedagogia preventiva positiva.

– L’ascolto. Nostro figlio ci lancia tanti messaggi e non tutti dicono quello che dicono; talvolta hanno un significato inespresso, hanno un senso profondo. Tante volte noi siamo sordi, non vogliamo capire, non vo­gliamo ascoltare!

– La fiducia e la fede. Occorre anche avere fiducia che riusciremo nel compito. Certo dovremo impegnarci costantemente; ma siamo certi che è possibile educare i figli all’onestà, alla laboriosità, alla serenità. Se ci siamo riusciti noi, perché non do­vrebbero riuscirci loro? E non dimentichiamo la fede, la fede granitica che ha sempre caratterizzato le nostre popolazioni e non ultima la Grazia ricevuta con il sacramento del Matrimonio. Nonché la Speranza cristiana: sappiamo che alla fine il bene prevarrà sul male; sappiamo che c’è ancora tanto bene che non fa rumore, ma c’è.

 

E per finire, l’ultimo atteggiamento educativo suggerito dalla pedagogia positiva, qual é?

Il quarto atteggiamento: seminare seguendo il metodo preventivo. Sembra quasi strano che tra i possibili modi di attuare concretamente l’educazione quello più trascurato, sia proprio quello di don Bosco che vuole prevenire il male piuttosto che curarlo. Metodo preventivo significa vederlo (questo figlio), immagine e somiglianza di Dio. Significa partire dal presupposto che anche lui sta cercando di fare del suo meglio. Significa stimolarlo ad avere buoni risultati: Ti chiedo questa cosa perché sono sicuro che tu sei capace, sono certo che ti impegnerai e ce la farai. Agli insegnanti infine la richiesta di analizzare il loro “atteggiamento educativo” per definirlo, infatti la consapevolezza di come si è, costituisce la base di partenza per migliorare.