Bulli e i cyberbulli

 

Fino agli anni 2000, quasi non esistevano. In letteratura, c’erano i Franti, i Lucignolo, i Gian Burrasca, ecc.; nelle nostre classi c’erano ragazzi vivaci, indisciplinati, monelli; in strada non mancavano i prepotenti e i violenti, ma niente bulli! Qualche volta ci si azzuffava in cortile, nelle piazze o a scuola e si arrivava anche a menar le mani; ma poco tempo dopo i protagonisti, complice la volontà di tener nascosto quanto era successo a genitori e docenti, tornavano amici. Poi, il fenomeno acquistò – anche per reali situazioni di gravità – rilievo e attenzione molto elevati, al tal punto che oggi sembra lecito chiedersi se non susciti emulazione con effetti talora tragici. Prendiamo due alunni che non hanno mai sentito la parola bullo: l’uno dà una gomitata all’altro, il quale risponde con uno spintone che provoca la caduta del compagno e una sbucciatura al ginocchio. Ieri sarebbero bastati l’intervento della bidella con disinfettante e cerotto e il castigo della maestra per ambedue che hanno comunque sbagliato.

Oggi c’è il rischio che il fatto venga descritto come manifestazione di bullismo, se ne parli tra insegnanti, si mandino a chiamare i genitori e che, magari, il tutto finisca secondo le norme del “regolamento di disciplina“. Vale certo la pena di riflettere per dire che un bambino-ragazzo-adolescente non è vittima di bullismo per un pizzicotto, per uno scherzo, per una parolaccia, per un messaggino oltraggioso, per un’offesa subita occasionalmente. Possiamo dire a nostro figlio che può succedere che un compagno gli faccia dei dispetti, lo insulti o lo minacci e che può rispondergli che non sta facendo una cosa bella, per poi allontanarsi recandosi nel gruppo degli amici. Se invece qualcuno lo picchia, gli fa male, lo prende in giro, lo offende anche tramite i social, ecc. – senza attendere che tali atti si ripetano – deve chiedere l’intervento degli adulti educatori.

A proposito di questi non è forse inutile chiedersi: “Mah! Dove sono quando capitano tali manifestazioni, anche di cyberbullismo?”. O sono assenti, o sono distratti, o (e purtroppo talvolta è vero) hanno perso la loro autorevolezza.  A questo punto mi pare conseguente concludere che abbiamo sbagliato qualcosa: ne abbiamo fatto un fenomeno che sembra riguardare tutti, ne abbiamo parlato troppo suscitando interesse; abbiamo smesso di esercitare la giusta vigilanza sorretta dalla nostra autorevolezza. Si può cambiare!