Alzati che è tardi (b)

 

«Alzati che è tardi» è un ordine che si ripete ogni giorno in tante famiglie. Nella precedente puntata lo abbiamo inserito nel capitolo della “pedagogia negativa” e abbiamo detto perché.

Ora immaginiamo questa situazione: nostro figlio è cresciuto, stiamo festeggiando il suo ventesimo compleanno. Tutti si augurano che sia diventato sicuro di sé, educato, onesto e responsabile, giudizioso e non violento; che si impegni negli studi e/o nel lavoro; che sappia rapportarsi con gli altri; che sia amore vero quello che lo lega alla sua fidanzata e futura sposa, ecc., ecc. e, infine ma non ultimo, che abbia maturato una Fede adulta che si manifesta nei comportamenti concreti. Ma… Quando lo abbiamo svegliato urlando: «Alzati che è tardi!», lo stavamo preparando a essere una persona educata? Quando gli dicevamo di non volergli bene perché era cattivo, imparava da noi ad amare? Quando lo picchiavamo, gli insegnavamo come risolvere i problemi senza violenza? Quando lo spiavamo, stavamo forse instaurando un rapporto di fiducia con lui? Quando gli dicevamo: «Ecco, il Signore ti ha castigato», sperimentava l’amore del Padre? Purtroppo ogni nostra reazione negativa ha sciupato una grande opportunità: quella di indicare la strada migliore! Perché se i muscoli si irrigidiscono, il battito del cuore aumenta, il tono della voce si altera…, quello è il “giusto momento” per far imparare a nostro figlio come gestire lo stress; comunicare con gentilezza anche nei momenti più critici; superare i conflitti con un dialogo franco, sereno e sincero; tenere conto dei sentimenti delle persone con le quali ci si rapporta; raggiungere i propri obiettivi senza danneggiare gli altri, anzi – se possibile – valorizzandoli; come amare le persone che amiamo e anche quelle che non amiamo, come vivere la “speranza cristiana” sapendo che proprio nelle avversità il Signore è con noi. Ogni volta che abbiamo superato con calma e bene situazioni di tensione, loro hanno imparato a trasformare le difficoltà in opportunità e noi siamo stati “educatori positivi” insegnando le vie del bene, del bello e del buono. Però bisogna cancellare la nostra radicata convinzione secondo la quale per fare della buona educazione basta intervenire sui figli, dire loro che cosa devono fare o non fare, vigilare perché lo facciano, ecc. Ebbene, la pedagogia preventiva positiva ci chiede anche di agire su noi stessi, trasformandoci da persone che comandano e proibiscono in autentiche guide che propongono ben chiari punti di riferimento; comunicano in modo rispettoso; fissano poche regole entro cui muoversi; danno strumenti per raggiungere i risultati in modo autonomo; aiutano senza supplire o sostituirsi; ecc. Il tutto in un’atmosfera di amore familiare ben fondato e manifestato.

Se già da quando era piccolo, abbiamo applicato questi principi, festeggiamo pure il compleanno di nostro figlio con la consapevolezza di aver fatto tutto quanto era nelle nostre possibilità. I risultati ci sono e i miglioramenti non mancheranno.