Dov’è il nonno?

 

Il nonno ci ha lasciato. Era tanto amato da tutti e dal nipotino in particolare. Bisogna farglielo vedere? Bisogna andare con i bambini al Cimitero?

Anche in questa circostanza si manifestano i nostri errori pedagogici che ci portano a non far vedere il nonno morto ai bambini, a non farli partecipare al funerale, a non parlare mai loro di sorella morte. L’errore sta nel fatto che come sempre vogliamo agire “educativamente” su di loro e non su di noi; ma è il nostro comportamento che determina il loro. Se noi abbiamo un rapporto equilibrato con la morte; se io, padre, pur straziato profondamente per la perdita della persona cara (che nel caso specifico è il mio papà) so per certo che la morte è il passaggio nella “Realtà” (quella vera, vera!); se io sono autorevole anche nel dolore… loro – i miei bambini – avranno con la morte del nonno l’occasione per una grande lezione di vita.

Purtroppo non è quasi mai così. Noi fuggiamo la morte, evitiamo addirittura di parlarne, non accompagniamo i bambini al Camposanto nemmeno il 2 novembre, né come famiglia, né come scuola; ma, talvolta, neanche come allievi delle nostre parrocchie nel cammino di Iniziazione Cristiana dei Fanciulli e dei Ragazzi. Così pensiamo di evitare loro il disturbo di un primo incontro con la morte.

Semmai li lasciamo comprare, fuori dal luogo santo, i dolcetti dei morti, ma dentro non li facciamo entrare. È troppo triste. Quello che devono sapere sulla morte glielo abbiamo già insegnato con gesti scaramantici, taluni addirittura volgari e le loro domande precise sui morti, le abbiamo sempre eluse alla grande…

 

Non si parla di morte con i figli e poi tv, radio, giornali sono zeppi di fatti luttuosi, di incidenti mortali, di ammazzamenti e di delitti…

Domina il mercato della violenza, della morte come spettacolo o della morte facile. Non vedo quasi più, ed è un grande male educativo, la morte naturale.

 

C’è da sentirsi in colpa?

   Vorrei veramente che si sentissero in colpa tutti quegli adulti che così si comportano, quelli che mandano il figlioletto dalla zia per qualche giorno in attesa di seppellire il nonno, quelli che la vogliono cancellare la morte con il loro vivere alla giornata qui ed ora e poi quel che sarà, sarà. Ma chi ha buon senso ed intelligenza sa che la morte è il termine naturale della vita. Chi ha una fede autentica sa che la morte è la nascita, pur dolorosa, all’altra vita, per cui sa che può recarsi con tutta la famiglia serenamente a far visita ai defunti e cogliere l’occasione per pregare, per parlare altrettanto serenamente di sorella nostra morte corporale. Chi ha fede ha già insegnato che quando si entra in un “Camposanto” è bene fare il segno di croce ed elevare un pensiero, una preghiera per chi ci ha preceduto, ha già insegnato ad amare i nostri morti, a portar loro rispetto, ad onorare ed abbellire le loro tombe.

 

Che pensano i bambini della morte?

Durante l’infanzia, cioè dai 3 ai 6 anni, pensano che pur essendoci la separazione, le persone siano ancora vive (ed hanno ragione perché sono vive, anche se “diverse” da questo mondo fatto di materia). Durante la fanciullezza tendono, invece, a vedere la morte come effetto della vecchiaia o della malattia. Con l’adolescenza, infine, è completo il concetto di morte come irreversibile, ed universale.

 

Perché si fa fatica a parlare della morte?

   Dice l’Andreoli già citato: Non capisco la stupidità dei padri, degli educatori di professione e di quanti sostengono che si debba evitare di parlare della morte. Certo ne abbiamo paura anche sono parlandone, perché vogliamo evitarla, perché la morte è tremenda e terribile, perché è prezzo del peccato, perché contro di essa naturalmente tutto il nostro essere si ribella, perché la nostra buona volontà è sopraffatta dall’inesorabile certezza della morte, perché dopo aver gustato il frutto della vita giustamente aspiriamo a non morire (ed, in effetti, la morte ci traghetta nell’immortalità), perché abbiamo sì fede ma non tanta da accettare la morte, perché temiamo di cadere nel nulla, dimenticando che Cristo per primo ha vinto la morte.

Persino i preti ne parlano poco, predomina l’imperativo che la Chiesa deve mostrare un volto gioioso, dunque niente morte. Ma è un equivoco perché questo avvenimento è spiritualmente gioioso, è la porta di accesso del paradiso.

 

Dov’è il nonno? Non è certo facile rispondere a simili domande…

Se l’evento è stato vissuto da poco abbiamo già avuto occasione per affrontare queste domande durante le cerimonie funebri e le nostre frequenti visite alla tomba. Se l’evento è lontano e non entra nelle memorie del bambino, mostriamo (anche in questo caso) l’album delle foto che c’è in ogni casa, raccontiamo la storia della nostra (anche in questo caso) bella famiglia cominciando proprio dai nonni, che non sono “scomparsi”, sono morti come natura vuole. Sono passati all’altra vita, sono in paradiso con Gesù.

 

Si può parlarne a scuola?

   Dobbiamo, perché la scuola è vita e la morte fa parte della vita, perché non possiamo eludere le domande degli alunni, perché le classi spesso sono toccate dalla morte di un parente di qualche alunno e certo non si può far finta di niente, né tantomeno andare al funerale con la bandiera della scuola senza dire nulla, sarebbe educativamente imperdonabile.