Iniziazione Cristiana dei fanciulli e dei ragazzi

 

Una constatazione da una catechista: Sono stata prima “responsabile” (e sottolineo responsabile) della formazione cristiana di un primo gruppo di 23 ragazzi (che oggi hanno ventidue anni) poi di un secondo gruppo di 20 (ora in classe I superiore). Ho ricominciato, quest’anno con i bambini di sei anni; ma – durante la prima Messa con i nuovi (ore 9.30) – mi sono posta questa domanda: Quanti di quelli che ho preparato finora fanno parte della comunità cristiana che si trova insieme nel giorno del Signore? Uno sguardo intorno… Nessuno? Nessuno! Certo verranno alla Messa vespertina o saranno venuti ieri (sabato). Dunque accurato controllo il sabato sera e la domenica successiva a tutte le Messe, risultato: solo due di 22 anni e uno di 14 (anche se ho ancora la speranza di rivederne altri domenica prossima). Che risponde il pedagogista?

Certo la situazione non è uguale in tutte le parrocchie, certo il distacco dalla pratica religiosa spesso avviene più lentamente; ma nulla può impedire alla catechista in questione di chiedersi (e chiedere a me) che cosa poteva fare di più oltre a tutto quello che ha fatto: cammino personale di crescita nella fede e nella preghiera; studio sui libri e riviste; intensa attività nel gruppo catechistico parrocchiale; corsi e giornate di formazione che la zona pastorale ha messo a disposizione; attività, convegni e laboratori (anche a livello diocesano) quanto più le è stato possibile frequentare. Ma non è solo questione di formazione: umilmente, ma consapevolmente ha cercato di essere testimone credibile di quanto insegnava con la sua vita. Non solo, in questi anni è riuscita a stabilire “buone relazioni” con i ragazzi e le loro famiglie, tant’è che loro medesimi e i relativi genitori la salutano, l’hanno accolta (e la accolgono) come una cara amica (non sono mancati, infatti, neanche gli inviti nelle loro case).

 

Ma una buona catechista non dovrebbe accontentarsi di aver fatto bene… lasciando che i frutti del suo lavoro maturino?

Certo è facile rispondere che non si devono cercare i risultati, che l’importante è “gettare la buona semente”, che è lo Spirito che salva, ecc.; ma con tutta franchezza non posso fare a meno di osservare che continuare a centrare la catechesi sulla sola formazione dei ragazzi non porta frutti.

 

Abbiamo forse troppo praticato una pedagogia tradizionale nella catechesi?

Non posso definire il sistema di educazione alla fede – che fino a pochi anni fa ha dato ottimi risultati – come negativo; lo definisco tradizionale, non certamente da buttare, ma da affiancare con altri interventi più significativi che propongano esperienze concrete più che insegnamenti. Nelle nostre comunità cristiane dove la trasmissione della fede è affidata solo ai catechisti da genitori che, con fiducia, chiedono alla Chiesa i Sacramenti perché: Sì fa così, si è sempre fatto così, è una tradizione, ecc., nei ragazzi si instaura al “temine” del percorso, la convinzione che sia tutto “una cosa da bambini” e, appena possono, scappano (prima dalla Messa dei ragazzi, poi…): questa è la realtà che è sotto gli occhi di tutti. Eppure ogni anno programmiamo il “corso” di catechismo da ottobre a giugno; sistemiamo le “classi” con i banchetti in circolo che così ci sembra di fare qualcosa di nuovo; il vice-parroco dà gli elenchi e il registro delle presenze e i catechisti sono pronti per le “lezioni”. I nostri sacerdoti – veramente presi da tanti impegni e convinti della necessità di dare spazio ai laici cristiani – hanno delegato il compito della catechesi dei fanciulli senza operare quella guida spirituale, quegli interventi formativi su bambini e genitori necessari alla testimonianza della fede e talvolta sono intervenuti solo nelle disposizioni organizzative per i Sacramenti (data, abiti, fotografo, ecc.) dedicando a questo aspetto gli unici incontri con i genitori o – per meglio dire – con le mamme. Non ha certo giovato un contesto largamente in mano a catechiste donne con un’inevitabile confusione di ruoli: quante volte si sono sentite chiamare mamma, o maestra o professoressa dai loro…allievi?, o alunni? o ragazzi?

 

Si può cambiare ed introdurre una pedagogia innovativa per l’Iniziazione Cristiana dei Fanciulli e dei Ragazzi (ICFR)?

Oggi tutti gli operatori pastorali sono convinti che occorra fare qualcosa per arginare il fenomeno dell’abbandono, pertanto tutte le diocesi hanno intrapreso il cammino di formazione dei Fanciulli e dei Ragazzi pensando primariamente ai genitori, centrando l’iniziazione cristiana dei fanciulli sulla catechesi degli adulti. Occorre offrire al mondo degli adulti occasioni autentiche di ri-scoperta della fede, affinché si avveri, anche nel nostro tempo, la profezia di Isaia: “Il padre farà conoscere ai figli la fedeltà del Tuo amore”. Non c’è niente di più formativo per un bambino, nella trasmissione della fede che vedere un papà che prega non solo in chiesa (è già tanto), ma anche in casa, anche da solo. Il ragazzo non impara nulla della fede nel sentirsi dire: Hai detto le preghiere?; oppure: Devi andare a Messa o al catechismo. Così come non si acquisisce l’esperienza della “remissione dei peccati” se, in casa, il genitore non dà esempio di carità e di perdono, ecc., ecc. È una fede che non si trasmette, che rimane separata dalla vita, che non s’incarna.

 

Si parte dunque con un’impostazione nuova che coinvolge in prima persona i genitori….

Sono ormai molti anni che la Chiesa, nei suoi documenti, sostiene la necessità di orientare la pastorale alla “riscoperta della fede” e centrarla sulla formazione degli adulti. Solo i genitori, che liberamente scelgono di mettersi in ascolto della Parola di Dio, per crescere loro, prima di tutti, in una fede matura… solo questi sono capaci di palesare agli occhi dei figli quanto viene insegnato nelle aule di catechismo. Senza questa testimonianza – ammettiamolo – ogni sforzo è destinato, nella quasi totalità dei casi, a dare risultati deludenti.

 

Coinvolgere i genitori è questa la novità?

Sì! L’innovazione sta nel fatto che il cammino di educazione alla fede parte dai genitori (tant’è vero che in alcune diocesi comincia un anno prima che i bambini vadano al “catechismo”). Papà, mamma ed il loro bambino iniziano o continuano il “percorso di educazione alla fede” che li porterà via a conoscere e a vivere meglio per i genitori la fede che credono e che vogliono trasmettere, per i bimbi la fede alla quale vengono educati. Un percorso che ha come prospettiva anche una condivisa preparazione ai Sacramenti della Confessione e della Cresima, nonché un’altrettanta compartecipata preparazione alla Prima Comunione. Questo perché la catechesi non sia più ridotta a solo insegnamento, ma sia vita concretamente vissuta prima di tutto dai genitori, dagli educatori e da tutta la comunità cristiana.

 

La testimonianza di fede da parte dei genitori, quanto è importante?

Fino a poco tempo fa, si è seguita l’idea, profonda e ben radicata, secondo la quale per educare alla fede occorre agire sui bambini: mandarli a Messa, portarli al catechismo (dove sono loro spiegati i principi della religione) dare buoni consigli, esigere comportamenti “da buon cristiano”.

 

Non va bene?

No, dobbiamo cambiare noi adulti (si veda anche il cap. XXII: La fede in famiglia).

 

Per educare i bambini alla fede dobbiamo cambiare noi adulti? Dobbiamo andare noi a catechismo?  Ma qui si ribalta il mondo…

Certo non è un cammino semplice in quanto non è facile superare l’usanza secondo la quale “loro” vanno al catechismo e noi siamo a posto. Infatti noi genitori delle nostre belle “comunità cristiane tradizionali”, abbiamo costruito nel tempo un nostro modo di pensare e vivere la fede e perciò ci sentiamo cristiani a tutti gli effetti e tali ci manifestiamo ai figli; ma vogliamo tenacemente delegare e fatichiamo ad accettare l’idea che dobbiamo diventare protagonisti dell’educazione alla fede dei nostri bambini. Le parole che troppe volte abbiamo detto sono: Vai al catechismo, che alla tua età ci sono andato anch’io e ti fa bene. Ma oggi abbiamo intrapreso una nuova strada, quella del nuovo cammino di Iniziazione Cristiana dei Fanciulli e dei Ragazzi percorrendo la quale possiamo dire: Inizia per te e per noi un cammino di fede, che bello!

 

Ammettiamo pure di fare così, i “diretti interessati”, cioè i nostri figli, che ne pensano?

I nostri bambini sono veramente ammirati nel vedere che per la catechesi (cosa che non avviene neanche per la scuola!) addirittura il loro papà e la loro mamma sono seriamente impegnati a prepararsi. Si interessano – i nostri bambini – di che cosa abbiamo fatto durante gli incontri dei genitori, lo vogliono sapere; proprio perché la fede è un “bene” che li attira molto e desiderano parteciparvi non da soli, ma con papà è mamma.

 

Esiste dunque una pedagogia positiva anche nell’ICFR?

Ecco: la pedagogia positiva chiede che noi siamo guida autorevole e sicura, nella quale ripongono piena fiducia. I genitori dei bimbi, dei fanciulli e dei ragazzi – forse dapprima un po’ “costretti” – poi sempre più consapevoli seguono un loro specifico percorso di riflessione sulla fede e di educazione alla trasmissione della medesima.

 

Tutti convinti, tutti contenti i genitori che finora vi hanno partecipato?

Tutti convinti? Forse lo si può affermare perché pochissimi hanno abbandonato le attività. Certo il punto d’arrivo non è uguale per ciascun genitore o ciascuna coppia, per il semplice fatto che le esperienze di vita ed i punti di partenza sono differenti, diversa è la quantità e la qualità della partecipazione, diverso lo zelo nel vagliare le proposte con la vita concreta di ognuno; ma tutti hanno ed avranno occasione di “riflettere” sulla propria fede e sulle possibilità di comunicarla.

 

E i bambini nel frattempo che fanno?

Mentre i genitori partecipano ai loro incontri, i figli hanno accesso a specifiche attività di formazione-iniziazione alla vita cristiana, adatte alla loro età, con la guida dei “tradizionali” catechisti.

 

Vogliamo guardare anche alle difficoltà?

Certo non sono mancate e non mancano; ma l’emergenza educativa che stiamo vivendo richiede la volontà di continuare sulla strada intrapresa che è quella pedagogicamente corretta: rendere i genitori protagonisti dell’educazione dei figli, in tutti gli aspetti compreso quello vitale e determinante della fede.