Aiutiamoci ad educarci reciprocamente

 

Mi pare di capire dal titolo che esiste anche un’educazione reciproca, quale ne è lo scopo e tra chi avviene?

   La reciproca educazione è il tema di questo intervento, perché in qualsiasi rapporto formativo, anche in quello tra padre e figlio, la direzione non è unica, ma è doppia. Non solo i bambini apprendono da noi, ma noi impariamo da loro, quanto meno possiamo imparare a diventare genitori. Ma educarsi reciprocamente non riguarda solo padri e figli, bensì anche marito e moglie, famiglie e famiglie, genitori ed istituzioni.

 

Qual è lo scopo finale?

Lo scopo finale è proprio quello di trasformare tanti “io” in “noi”. Il padre-marito, la mamma-moglie, la maestra-scuola, il prete-parrocchia, possono cominciare a dire: Noi! Noi abbiamo il diritto-dovere educativo; noi, con i nostri modelli, formiamo le nuove generazioni; noi educatori operiamo “preventivamente” e “positivamente”. “preventivamente” nel senso che non aspettiamo quando necessità incalza, “positivamente” in quanto non siamo schierati su posizioni opposte, ma siamo sulla stessa barca che non solo vogliamo tenere a galla, ma anche in rotta, allo scopo di portarla alla meta. Noi ci educhiamo, nel senso che mentre ci impegniamo per i bambini impariamo ad esser veri, credibili, autorevoli ed autentici. In casa possiamo dire: Noi famiglia; noi vogliamo crescere nel bene insieme, perché ne siamo capaci. Usciamo anche dalla famiglia e diciamo: Noi genitori ed insegnanti. Noi abbiamo pensato e deciso che… Quanti di noi sentono la scuola come propria? La scuola è nostra. Siamo noi che con le leggi la vogliamo e con le tasse la finanziamo. Quanti infine anche tra i cattolici praticanti dicono: Noi della parrocchia dinoi comunità cristiana di…?

Ma voglio andare avanti ancora. Possiamo e dobbiamo sentirci anche “Noi comunità civile”, volgendo in positivo quel che ora sembra esser solo negatività. Perché dir sempre male dei nostri politici anche di paese? Stiamo seminando il messaggio che gli amministratori sono persone che fanno solo il loro interesse e non il bene dei loro cittadini. I nostri figli recepiscono questa nostra posizione e poi ci aspettiamo domani di avere politici dediti al bene pubblico? Avremo funzionari che hanno appreso i nostri insegnamenti e che pertanto si comporteranno di conseguenza.

Questa reciproca educazione dunque può avvenire tra marito e moglie, tra marito moglie e figli, tra scuola e famiglia, tra scuola famiglia e comunità parrocchiale, tra scuola famiglia comunità parrocchiale e società civile e paese o quartiere dove viviamo.

 

È e sarà, un tipo di educazione sempre molto difficile da realizzare?

Indubbiamente c’è la consapevolezza della difficoltà dell’operazione, anche noi stessi che lo diciamo abbiamo molte perplessità sul fatto che sia immediatamente attuabile, ma lo scopo di queste nostre riflessioni non è quello di cambiare da oggi a domani i comportamenti concreti, vogliamo prima vagliare il nostro modo di pensare, perché siamo certi che se modifichiamo le nostre idee trasformeremo di conseguenza il comportamento.

 

Quali caratteristiche deve avere l’azione educativa reciproca per tendere ai suoi obiettivi?

Questa azione educativa, che abbiamo definito reciproca è “consapevole” nel senso che ci abbiamo pensato e l’abbiamo fatta nostra; “dichiarata” nel senso che ce lo siamo detto: Noi vogliamo collaborare; “finalizzata” nel senso che sappiamo qual è lo scopo del nostro agire: Fare della persona una personalità; “intenzionale” nel senso che non la gestiamo così come capita, ma abbiamo un preciso progetto; “positiva” nel senso che vogliamo tendere al bene, valorizzandolo, il che non vuol dire negare il male, ma solo conoscerlo per evitarlo.

 

Qual è il punto di arrivo?

Il punto di arrivo è una famiglia che chiamerei, con Maritain, “integrale”. Una famiglia dove ognuno ha consapevolezza dell’appartenenza e della validità della sua presenza. Una famiglia dove tutti concorrono al bene di tutti, una famiglia dove c’è poco spazio per le contrarietà che certo non mancano, ma si dà molto spazio alle cose belle.

Poi, una scuola che si senta autenticamente al servizio della famiglia e concorra con essa alla formazione della personalità dei nostri figli che vi accedono.

Con famiglia e scuola, una comunità parrocchiale dove i bambini stiano bene, siano a loro agio, abbiano esempi validi e qualificanti e possano trovare quello che a loro serve per diventare autentici “amici” di Cristo.

Infine un paese, o quartiere, o città, o Nazione che si senta importante anche dal punto di vista sociale e civico, dove ogni persona sia autenticamente cittadino e per ciò stesso titolare di diritti inviolabili e di doveri altrettanto non derogabili.